Ganio, il cacciatore

“Tanto tempo fa tra i monti si aggirava un maestoso cervo dal pelo bianco, nel cui corpo era rinchiuso lo spirito tormentato di una ragazza. A lei era legato da grande amore un giovane guerriero che non mancava occasione per portarle doni e mostrarle affetto; un giorno i due decisero di costruire una capanna e di creare una nuova famiglia, senza immaginare però che il destino aveva nel frattempo deciso diversamente. La straordinaria bellezza della fanciulla, infatti, non era nota solo al villaggio o tra i giovani dei clan confinanti, ma anche al Dio delle Tenebre, che, invaghitosi di lei, la imprigionò nel corpo di un cervo per toglierla per sempre all’affetto del compagno. Fu così che la pelle dell’animale si tramutò in un candido mantello bianco a simboleggiare la bellezza della ragazza rinchiusa nel suo corpo. L’animale cominciò a girovagare nei boschi senza una meta precisa, portando aiuto ai cacciatori in caso di bisogno, ma non lasciandosi mai avvicinare da loro. Si dice che anche lo spirito del compagno, impazzito dal dolore per essere rimasto solo, stia ancora oggi vagando alla sua ricerca.“
Questa triste storia, più volte raccontata dagli anziani, rimane impressa nel ricordo dei giovani cacciatori anche quando si ritrovano attorno ad un fuoco dopo una impegnativa battuta di caccia. In realtà un cacciatore non si può permettere di sognare perché le insidie ci sono sempre e le regole di Madre Natura vanno rispettate, soprattutto se la preda è un animale pericoloso come l’orso.
La grande caccia questa volta si preannuncia come un evento molto importante perché il raccolto è stato magro e i cesti di frutta sono semivuoti. Con le riserve di cibo così ridotte, il villaggio non è pronto ad affrontare la stagione fredda ed è quindi indispensabile accumulare sufficienti riserve di carne prima dell’arrivo delle piogge.
Quando nel villaggio cala il silenzio e sul viso delle donne appare un velo di tristezza vuol dire che la partenza degli uomini per la grande caccia è imminente. Sanno, infatti, che qualcuno starà lontano tutta la stagione fredda e che qualcuno addirittura potrebbe non rientrare più. Sei il cacciatore più anziano e quindi tocca a te chiamare a raccolta gli uomini e organizzare i gruppi di spedizione; li informi che lo stregone ha previsto prede abbondanti e di grossa taglia per tutti, ma che non sarà una spedizione facile. Ricordi ai compagni di portare con sé tutte le armi perché bisognerà difendersi dagli attacchi dei lupi e forse anche dagli Uomini di cenere, i temuti abitanti delle Terre secche. Si dice che raggiungano i monti per cacciare orsi e uomini: i primi per mangiarli, i secondi per portarli via come schiavi nei loro villaggi. Si tingono il volto di bianca cenere e di rosso ocra per spaventare i nemici, usano armi più resistenti delle vostre e parlano un linguaggio sconosciuto. P
Come preferisci proseguire?
Decidi di aggregarti al gruppo più numeroso, quello che si occuperà della caccia dell’orso, perché c’è il capo clan Haran, di cui ammiri l’esperienza e il grande altruismo. Più volte controlli che tutte le armi siano pronte, soprattutto l’arco. L’ultima volta il cordino si è spezzato proprio nel momento decisivo e non vorresti che la cosa si ripeta. E' arrivato il momento di partire.
Rimani al villaggio in attesa del rientro dei gruppi. Ti senti troppo vecchio per reggere il passo veloce dei giovani cacciatori. E poi le tue scarpe sono rotte; è ora di cambiare la suola.
Preferisci la caccia al cervo, perché tutti e tre gli uomini che fanno parte del tuo gruppo sono amici di lunga data e perché è la meno rischiosa. Sei sicuro di esaudire così anche il desiderio di Arkei, la tua compagna, che nel frattempo si dedicherà alla preparazione di una giacca in pelle e ad accudire le capre.
Dedicate i primi tre giorni alla marcia di avvicinamento verso i monti più alti. Ogni sera il gruppo si ritrova attorno al fuoco per riposare e nello stesso tempo per scambiarsi confidenze ed esperienze personali. Talvolta i racconti sono così spassosi che le risate si disperdono nel buio della vallata; altre volte sono così terribili che la paura traspare dagli sguardi di chi ascolta. Anche in queste occasioni però non manca il riferimento alla leggenda del Cervo Bianco o ai racconti sugli Uomini di cenere. Ed è con questi pensieri che ti addormenti stretto vicino ai tuoi sette compagni. Un grande cielo stellato fa da tetto al piccolo riparo ricavato sotto l’enorme masso ai margini di un bosco.
All'improvviso un alito di vento freddo ti sfiora il viso ed hai la netta sensazione di un imminente pericolo. Ti accorgi che gli altri compagni sono già svegli e che nel massimo silenzio stanno cercando di individuare la minaccia.

Un sibilo taglia l'aria. L'urlo di dolore di Haran, che per primo aveva capito cosa stava accadendo, rompe il silenzio. Una freccia l'ha colpito al petto. Grida di battaglia si diffondono nel buio e quando ti accorgi degli Uomini di cenere, capisci che la vita di tutti voi è in pericolo. Lo scontro si fa corpo a corpo e cerchi di reagire con tutte le forze all’attacco di un guerriero che sta per scoccare una freccia.
Continui la lotta, ma ti accorgi che l’avversario non si muove più. E’ morto. Quando ti alzi, ti accorgi che il combattimento è terminato. Due corpi sono rimasti a terra. Lo sguardo cade sul gruppetto di compagni intenti a soccorrere Haran. Fai alcuni passi ma con un gesto istintivo porti la mano al fianco e quando vedi le dita insanguinate, capisci di essere stato colpito. Le forze ti vengono meno e le gambe si piegano. Ora gli amici ti sono attorno. Qualcuno ti sostiene e cerca di portarti sotto la roccia, ma non ce la fai più. Uno strano tepore ti coglie. La Signora della Vita ti accoglie con un sorriso.

In alto sui monti le ultime nuvole del temporale notturno si fanno cogliere dall’arrivo dei primi raggi solari. Più in basso, sul fondo delle valli, il buio sta lentamente abbandonando i prati e i boschi ora coperti di brina bianca. Sei in attesa accanto ad Haran del passaggio degli uomini per porgere loro un saluto di buona caccia prima che lascino il villaggio. Tra bimbi che piangono e grida di saluto, i gruppi si allontanano accompagnati dal tuo sguardo malinconico. E’ la prima volta che non vai con loro e siccome li conosci uno per uno sin da quando erano dei ragazzi, ti sembra di allontanarti dai figli più che dagli amici. Torni alla capanna e prendi in mano le vecchie scarpe, quando ti viene un’idea: perché non prendere la lancia e il retino da pesca e scendere al fiume a caccia di trote?
Castagni e betulle fanno da sfondo alla piccola insenatura dove il flusso dell’acqua si fa più dolce; è il posto ideale dove sistemare la rete e tentare di catturare qualche trota, usando la lancia per spingere i pesci nella direzione giusta. Nella parte più ombrosa, là dove la montagna scende più ripida, lamponi e more hanno trovato il luogo ideale per lasciarsi cullare dai leggeri colpi di vento. Forse alla fine della giornata potrai raccogliere qualche frutto.
Stendi la retina legando le due estremità a due grossi ciottoli, e prepari una sorta di percorso obbligato con altre pietre; poi basterà entrare in acqua e spingere i pesci in quella direzione. Nella speranza che l’attesa non sia troppo lunga, ti metti alla ricerca di una comoda pietra per sederti e attendere il momento più propizio, ma l’occhio viene attratto da un’orma fresca impressa nel fango, esattamente lì dove hai immerso il retino.
Ti avvicini per vedere se quel brutto sospetto che hai corrisponde a verità e nel girare il capo capisci che si tratta proprio di un orso. Il bestione mostra tutta la sua forza sollevandosi su due zampe e lanciando un forte ruggito che ti paralizza dalla paura.
Una prima violenta unghiata ti colpisce il braccio e quando stai per impugnare la lancia, un secondo colpo ti prende alla gamba. L’animale ti assale. Non c’è più speranza. La Signora della Vita ti accoglie fra le sue braccia.

La marcia di avvicinamento verso i prati di alta quota sembra un divertimento per il cane che sale e scende continuamente lungo il sentiero a controllare se i compagni ci sono tutti. Finalmente dopo due lune di marcia raggiungete il piccolo rifugio ricavato sotto una parete rocciosa. Accanto ad un magnifico rododendro in fiore alcuni compagni trovano un po’ di sterco di stambecco; ciò vuol dire che gli animali devono essere in zona. Ora, però, è il momento di mangiare un po’ di carne secca e di riposare; siete così stanchi che nessuno ha voglia di raccontare una storia o di scherzare. Il sonno vi prende in poco tempo.
Alle prime luci dell’alba un gelido vento proveniente dalle cime più alte passa sul vostro viso a portare la sveglia. Meglio riprendere subito il cammino così il corpo si scalda prima. Il sacro astro non è ancora giunto ad illuminare la zona che già avete individuato un gruppo di stambecchi. Vi muovete nel massimo silenzio e controvento. Di tanto in tanto fischi di marmotte sibilano lungo la valle, ma gli animali fino ad ora non hanno percepito la vostra presenza. Anche il cane se ne sta accovacciato in silenzio in attesa del segnale di attacco.

La caccia richiede sempre molta concentrazione perché la preda, se non viene colpita mortalmente al primo tiro di freccia, può sfuggire alla cattura e morire lentamente molto lontano dal luogo dell’agguato.
E’ una possibilità che tutti i cacciatori non vogliono prendere in considerazione, sia per non procurare inutili sofferenze all’animale, anch’esso figlio di Madre Natura, sia per evitare di doverlo seguire lungo ripidi pendii, costringendovi a rimanere ad alta quota oltre il periodo previsto. Questa volta la freccia ha colpito vicino al cuore e la preda cade quasi subito.
Prima di trasportarlo al bivacco scegliete una pietra dalla superficie piatta su cui scavare la coppella di ringraziamento alla divinità solare per l’aiuto prestato.
La via del ritorno si fa faticosa per via del peso dello stambecco, che in parte avete già sezionato. Quando arrivate al villaggio, Haran ti informa che Arkei, partita all’alba per la raccolta di frutta, non è ancora rientrata.
Il tempo sembra trascorrere lentissimo, per cui ad un certo punto decidi di andarle incontro. Forse si trova nella zona più ombreggiata del colle, dove tra rovi e piante di lamponi, crescono molti alberi di mele selvatiche. Una volta raggiunto il torrente che attraversa il prato sottostante, ti accorgi che i temporali dei giorni scorsi l’hanno ingrossato di parecchio; forse Arkei non è riuscita a rientrare per questo motivo. Sposti delle pietre nel punto più stretto del torrente per attraversarlo, ma il lavoro richiede molto tempo e ora sta sopraggiungendo l’imbrunire. All'improvviso ti sembra di intravedere sull’alto di una rupe una sagoma bianca. Per un attimo il pensiero va al Cervo Bianco, ma forse si trattava di un riflesso. Decidi di salire in quella direzione e proprio quando il fiato comincia a mancare, senti provenire un lamento da un canalone. È Arkei! In pochi passi la raggiungi e la rassicuri, stringendola forte a te. Tra le lacrime ti racconta di essersi spinta in alto perché voleva raccogliere anche delle pigne per ornare la capanna, ma poi non era più riuscita a trovare il sentiero del rientro. Ha pensato persino di morire, quando ha cominciato a sentire in lontananza gli ululati dei lupi. “Ora è tutto finito.”
Alle prime luci dell’alba prendete la via del ritorno. Quando arrivi al torrente sei molto stanco e devi concentrarti perché l’attraversamento con ARkei sulle spalle e con l’acqua alta non è per niente facile.
La corrente a metà guado si fa sempre più forte. Scivoli! L’acqua ti trascina verso valle! Arkei invece riesce ad aggrapparsi ad un ramo e a risalire sulla sponda opposta. Anche tu cerchi un appiglio, ma la corrente ti sommerge e ti trascina lontano. Non riesci ad aggrapparti e ti manca il respiro. La Signora della Vita ti accoglie con un sorriso. Una pace interiore assorbe l’ultimo pensiero.

L'allarme mobilita gli uomini rimasti al villaggio e in breve tempo con un gruppo di compagni ti metti alla ricerca di Arkei. Raggiungete i prati all’imbrunire, poi vi dividete in ordine sparso, mantenendo un contatto fra di voi con richiami ad alta voce. Le ricerche durano fino a quando è buio intenso. Poi il gruppo decide di fermarsi per accendere il bivacco per la notte nel punto più elevato, all’altezza del primo “Omino di pietra”.
All’improvviso il battito diventa irregolare, ti manca il respiro e sembra che la lama di un coltello sia penetrata nel petto. Le mani si stringono al petto, in un gesto spontaneo di dolore. L’aria ti manca, Il sonno arriva caldo come il calore della tua capanna. La Signora della Vita ti accoglie con un sorriso. Una pace interiore assorbe l’ultimo pensiero.